Abbiamo un problema col tempo
Ci sembra di non averne mai abbastanza, ma la verità è che non sappiamo più come consumarlo correttamente
I social ci hanno completamente rovinato la vita.
Ecco, cominciamo così - con una frase sensazionalistica che vi faccia subito venir voglia di darmi un pugno in faccia.
Prima di passare alle mani però, riflettiamoci un attimo insieme: se è vero che i social ci hanno permesso di estendere i nostri confini oltre l’immaginabile (nominatemi qualcosa che non è possibile condividere online ormai), è altrettanto vero che non sempre questa è una bella notizia.
Vi ricordate di Eco, quando parlava delle legioni d’imbecilli?
È vero che ormai tutti ci sentiamo in diritto di dire la nostra, anche quando non abbiamo davvero le competenze per esprimerci o nessuno ce l’ha chiesto. Superiamo questo assunto: per me, la cosa più evidente e grave, è che ci stiamo tutti completamente rincoglionendo, chi più chi meno.
Senza offesa, eh: mi ci metto in mezzo. E non solo perché stiamo invecchiando cerebralmente prima del nostro tempo, ma principalmente perché stiamo smettendo di abitare l’online in modo proficuo.
Non siamo in grado di contenere i nostri stati d’animo e cerchiamo degli imbuti virtuali dentro cui vomitare le nostre frustrazioni.
Sembra che le ore che abbiamo a disposizione non siano mai abbastanza, eppure non ci concediamo nemmeno un minuto per stare nel nostro presente. Con qualunque sensazione sgradevole addosso.
Soprattutto: non siamo più disposti a scendere a compromessi con qualcosa che richieda la nostra completa attenzione e la nostra capacità di attesa.
Per dirne una, non accettiamo che un broadcaster rilasci gli episodi di una serie TV una volta a settimana. Non contempliamo più un viaggio in metro senza aver scorso almeno due o tre feed diversi (e chi riesce a leggere un libro sui mezzi è ormai visto come un essere alieno o come un saggio tipo Ghandi, incapace di essere scalfito da ciò che ha attorno).
Non c’impegniamo nemmeno a guardare un video per intero se non ci va, perché tanto c’è l’Accorciabro che ci fa il riassunto dei TikTok.
Il. riassunto. dei. TikTok.
Dicono che non sia completamente colpa nostra: viviamo in una condizione di affaticamento costante che ci rende più suscettibili, più influenzabili. Ed è proprio su questa premessa che i social sono diventati i nostri aguzzini: ci tengono incollati, capitalizzando proprio sul nostro tempo di utilizzo dello smartphone .
Walter Benjamin diceva: “La noia è l'uccello incantato che cova l'uovo dell'esperienza”. Se tu non t'annoi, non fai sedimentare l'esperienza, se tu non sei sempre intrattenuto come con i nostri smartphone, se li usiamo come strumento per non annoiarci, non abbiamo capito a che servono.1
Fermi tutti2: non intendo minimamente sottrarmi a questa critica sociale. È inevitabile cascare dentro a questa faccenda con tutte le scarpe, sarei ipocrita a dire che produco e consumo solo contenuti di alto spessore culturale (anche perché non ci serve tutta questa serietà a tutte le ore del giorno: va benissimo concedersi del cazzeggio, è salvifico per il cervello).
Il rischio che però percepisco (per me e per molte persone) è che questo modus operandi finisca anche per riempire i vuoti, fatti di tempo, dentro cui abbiamo dimenticato come si vive.
E questo colpisce in egual misura sia i creator che gli spettatori: chi guarda compulsivamente TikTok o reel allontana apotropaicamente qualunque tipo di pensiero, rifugiandosi in mondi che non lo riguardano. Oppure si ritrova a essere travolto da problematiche enormi, senza poter fare nulla per cambiarle. In tutti i casi: evade dalla sua personale realtà.
La situazione è ancor più dolorosa per chi, non vivendo in condizioni di privilegio, si vede costretto a partecipare agli show dell’ostentazione del lusso di perfetti sconosciuti.
E cova rancore, ma non può fare a meno di guardare.
Chi crea, s’impegna a trasformare in contenuti remunerativi anche le attività più inutili - e ingrandendo la questione, cerca di convincersi che la propria vita possa essere meno brutta e noiosa di quella degli altri.
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Mi è capitato mille volte di guardare quei video Ti porto con me, perché banalmente mi incuriosiscono (e nei miei vani tentativi da TikToker ci ho provato anch’io a riprendere porzioni di realtà godibili agli occhi degli altri).
Ma ecco il primo paradosso: io ti mostro la mia giornata, ma per renderla veramente aesthetic ai tuoi occhi perdo il doppio del tempo anche solo per lavarmi i denti.
Una spirale che conduce sempre allo stesso risultato: vogliamo più tempo per godere di ciò che abbiamo o che aspiriamo ad avere, ma quello stesso tempo scegliamo di sciuparlo così.
Astraendoci dal presente, dalla noia, dalla capacità di esserci, di notare anche tutti i dettagli irrilevanti.
Mi rendo conto di star massacrando la professione di influencer e content creator: scusate, non ce l’ho con (tutti) voi. Anche perché pure io mi sono riservata un momento destinato al doom scroll su TikTok (per altro il peggiore, prima di addormentarmi).
Ma ecco, il motivo di questo lungo papello polemico ha a che fare con un paio di video che il mio algoritmo mi ha proposto: quello più eclatante era di una ragazza che ha deciso, coscientemente, di riprendere le ultime ore di vita del suo cane, prima dell’eutanasia.
Di lutto ne so qualcosa - e so che ognuno di noi sceglie di viverlo come pensa sia meglio, in modi non sempre condivisibili o comprensibili agli altri. Ci mancherebbe.
È che, sul serio - quella ragazza andrà a riguardare quel video, più in là nel tempo? Davvero le andrà di ripercorrere quel rollercoaster di emozioni dolorosissime? Davvero ha girato quelle scene puramente per creare un ricordo?
E poi. Quanti gradi di separazione ci sono tra la partecipazione all’intimità di quel momento e la pura pornografia del dolore?
Per chi crea video, l’esperienza non si riduce alle riprese e la pubblicazione: c’è la scelta delle inquadrature (che è cruciale ai fini di un racconto), il montaggio, la scelta della musica, magari anche il Voice-over o i sottotitoli. Così come per chi guarda, l’esperienza non inizia e finisce con la semplice visione: si è chiamati a empatizzare con un perfetto sconosciuto.
Mi sono chiesta: che orrida fine ha fatto quel tempo col suo cane, nel suo ultimo giorno di vita? Quanto tempo, preziosissimo tempo, ha sottratto al suo dolore?
Condividere un momento, una sensazione, è alla base delle interazioni umane. Ma non c’è un limite?3 Lo abbiamo oltrepassato?
Di nuovo, non mi addentro in argomenti che non mi competono, ma ampliando la questione ho elaborato un’ulteriore riflessione: quand’è che abbiamo trasformato il nostro tempo in contenuti condivisibili, che attestino il nostro valore agli altri?
Chi è che ha davvero tempo, se in quello che abbiamo ci costringiamo a una costante esibizione?
E dall’altra parte della barricata: se nel nostro tempo (quello fatto sì di momenti degni di nota ma anche di spazi di noia, tristezza, attese, frustrazioni) non ci vogliamo stare, possiamo dire di star veramente vivendo?
Un estratto da un intervento di Andrea Colamedici e Maura Gancitano di Tlon. Moltissimi autori e filosofi e teorie che cito, li ho conosciuti grazie a loro.
Vogliate comprendere il mio uso del maschile sovraesteso: è da intendere come neutro. Mi rivolgo a tutte le persone