Cara bambina,
non te lo aspettavi, eh? Un numero tutto dedicato a te.
Ho deciso di scriverti perché è da tanto tempo che non passo a salutarti.
Se mi fai spazio tra le vertebre di questo torace, forse riesco ad accendere un lumicino per vederti meglio. Lo so, lo so che è buio e che ti fa paura: non devi averne. Se senti qualcuno che si avvicina, stai tranquilla: sono io.
Eccoti qui. Ovviamente sei seduta nell’unica posizione che ci fa stare comode (oggi la chiamerei siddhasana, tu diresti con le gambe attorcigliate): non potrebbe essere altrimenti.
Con una mano ti sorreggi il mento, con l’altra sposti la frangetta sulla fronte. Ti rassereno subito: non subirai più questa sorta di prurito che ti provocano i capelli sul viso — rifarai questo errore solo attorno ai 15 anni, poi rinsavirai definitivamente. A proposito: vedi come sei vestita carina, adesso? Con la polo arancione, la gonnellina marroncina e le Superga blu? Ecco — sarà forse l’ultima volta che ti sentirai conforme alla moda e agli occhi delle altre persone. Però non è che te la vivrai malissimo, ‘sta faccenda: qualcuno te lo farà notare, per un po’ diventerà un problema a cui ti sembrerà giusto porre rimedio, e da un certo momento in poi te ne fregherai.
Va be’, andiamo al sodo: come stai?
Forse ti senti un po’ abbandonata perché è da tanto tempo che non ti faccio il solletico: me ne scuso veramente, bambina. Certe volte sono troppo concentrata a pensare, a farmi le pippe su qualsiasi cosa, che dimentico che qui ci sei anche tu che mi chiedi attenzione.
Facciamo così: d’ora in avanti cercherò di tenerti al corrente delle cose che ci succedono, d’accordo?
Innanzitutto vorrei dirti che sì, di quelle visioni che ogni tanto hai, come degli squarci dal futuro, qualcuna se n’è avverata. Tipo: adesso che è estate, puoi ammirare tutti i tatuaggi che ci siamo fatte. Otto. Pure belli grandi, eh? E poi, guarda: abbiamo tanti piercing alle orecchie e i capelli lunghi come volevi, praticamente fino al sedere — e senza frangia! Sì, li abbiamo portati anche colorati come le streghe e quando verrà il momento, stanne certa, li raccoglieremo in una lunga treccia bianca.
Le unghie? No, bambina — quelle scordatele. Lo smalto lo mettiamo di tanto in tanto, ma continuiamo ancora a divorarci tutte le pellicine attorno ai pollici, fino a scarnificarci. Non c’è ancora passata questa sadica abitudine. Dubito succederà mai.
Passiamo a cose più eccitanti: stiamo insieme ad una persona. Addirittura viviamo sotto lo stesso tetto! Come i grandi, stavolta: certo, non esattamente i grandi che hai in mente tu. Noi e questo ragazzo siamo adulti, ok, ma come sono costretti a esserlo quelli della nostra età nel 2025. Diciamo un po’ sgangheratelli, ecco (non è del tutto colpa nostra, eh).
Sei sorpresa? Anche io. Non immaginavo che saremmo riuscite di nuovo a trillare come fai tu quando sei contenta. Hai presente? Quando ti scappa quel risolino che ti attraversa il corpo come un brivido, talmente tanto che ti scappa quasi da saltellare. Fortuna che non hai l’età per pensare che sia una roba da sfigati: credimi, è davvero tanto bello poter trillare con qualcuno, senza che questo ti minacci di andarsene se continui a farlo. Se continui a essere te stessa.
Sei contenta?
Menomale.
Prima che tu me lo chieda, sì, possiamo ancora contare su certe relazioni stabili nella nostra vita. Lo so, non sono moltissime, ma che ti devo dire: abbiamo ‘sta cosa che quando uno ci delude, ci ha deluse e c’è poco da fare. Tranquilla: nostra mamma, nostra sorella, perfino la nostra prima e unica migliore amica — sì, quella del mare — ci sono ancora tutte.
Per il resto, che dire: non è che sia andato proprio tutto tutto tutto come da manuale. Ti ricordi quando t’immaginavi in un ufficio a scrivere, con un computer come quello di papà? Ecco, per un periodo di tempo siamo state piuttosto fortunate: delle persone si sono affidate a noi per concludere il loro lavoro, hanno voluto il nostro parere su certe cose, il nostro occhio per altre. Hanno creduto in noi e nel nostro modo di usare le parole. C’è stata una volta che siamo state pure mezze famose su internet, acclamate per la nostra idea (no, non si concretizzerà mai in qualcosa di tangibile, però ti assicuro che è stato bello crederci).
Adesso facciamo un po’ di fatica, bambina, te lo devo dire.
Stiamo molto spesso sedute con le gambe attorcigliate, a sorreggerci il mento. Leggiamo molto, di tutto. Siamo molto, molto assetate di sapere, mai come prima d’ora. Ci informiamo tanto e ci innervosiamo ancora di più: nel tempo abbiamo sviluppato una verve polemica niente male. Quando ci parte la brocca, si salvi chi può.
Stiamo anche tanto da sole, un po’ come te adesso. Ci siamo scelte hobby e passioni che in qualche modo richiedono solitudine. Dormiamo sempre di meno. Ci accartocciamo sempre di più in posizioni sbagliate per la nostra cervicale (questa è una di quelle cose che gli adulti dicono per darsi un tono).
Continuiamo a odiare i luoghi affollati, anche se ci piacciono ai concerti (sì, andiamo ai concerti, quando non costano un rene!).
Ci ossessionano più o meno le stesse cose di sempre e continuiamo a fare spiraling, come dice la nostra terapeuta (sì, bambina mia: sono quasi otto anni che ci facciamo spiegare perché siamo così da una dottoressa).
Continuiamo a scrivere tanto, anche per farci leggere: ma soprattutto perché, lo sai, è l’unico modo che abbiamo trovato per stare in equilibrio, per stare al mondo.
La gran fatica dell'esistenza non è forse insomma nient'altro che questo gran darsi da fare per restare ragionevoli venti, quarant'anni, o più, per non essere semplicemente, profondamente se stessi, cioè immondi, atroci, assurdi1.
C’è questa cosa che facciamo, con le parole degli altri, e che probabilmente faremo sempre: ce le appuntiamo, le studiamo. Cerchiamo di assorbirle al punto tale da sognare di averle scritte noi — perché, purtroppo, non ci abbandona mai la sensazione di essere delle impostore, di non essere in grado di comunicare, di spiegare, di farci capire. Di avere un valore, uno qualunque.
Spesso ci sembra di avere un’eredità fin troppo pesante per le nostre spalle. Lo so: sento la tua fatica. Per te, che sei così piccola, è eccessiva. Non sei così forte da poterla sopportare tutta da sola.
Ti suonerà assurdo scritto da me a questo punto, ma posso garantirtelo: sono fiera di noi. So che possiamo farcela, in ogni occasione. Lo so, lo so e basta. Me le ricordo tutte, le volte che ci siamo dovute rialzare con le ginocchia sbucciate, coi denti digrignati, col fiato corto: ci ho viste farlo. Certo, poi abbiamo pianto, pure un bel po’, e abbiamo fatto quella cosa che facciamo sempre quando non vogliamo farci vedere (leggi: consolare, compatire): ci nascondiamo, come i gatti, e disperdiamo le prove.
Quello che voglio dirti, bambina, è di conservarci. In che senso, mi chiedi. Nel senso che tutto quello che ci rende noi, autenticamente noi, va bene. Vale la pena.
Per favore, ricordamelo quando e come puoi, se dovessi dimenticarlo. Perché ci saranno altre mille volte in cui avremo paura, quella brutta, quella che fa fare al cuore più battiti del necessario.
Quando penserò di non avere speranze, quando mi sembrerà che i mostri stiano venendo a prendermi, quando tutto sembrerà spegnersi - promettimelo, per favore: fai luce.
Insieme siamo un diamante grezzo, scintillante al fulgore del giorno.
Se non dovessi tornare presto, chiamami forte.
Te lo prometto: io ti sento, bambina.
Io ci sento.
Viaggio al termine della notte, di Louis-Ferdinand Céline.
Tenerezza, e tanta bellezza! ❤
Caterina, leggo sempre con molto piacere le tue newsletter (lo ammetto, le aspetto sempre un po'...) e tutte le volte mi emozioni, mi lasci una bella sensazione addosso, mi fai venire voglia di leggere già la prossima. Non smettere ❤️ grazie grazie grazie ❤️