Negli ultimi anni ho preso l’abitudine di creare delle vision board.
Non so se ne abbiate mai sentito parlare: si tratta di assemblare foto, ritagli di articoli, pagine di libri e immagini varie che evochino, in qualche modo, i nostri desideri.
Perché non chiamarlo semplicemente collage di cose carine, direte voi? Be’, perché c’è chi crede che questa operazione possa aiutarci a manifestare la vita che desideriamo. Pare che basti fissare abbastanza a lungo sulla vision board la foto di, che ne so, una borsa, perché l’universo trovi il modo di farcela avere.
Non mi sognerei mai - davvero, lo sapete - di giudicare qualsiasi metodo creativo riesca a farci sentire un po’ meglio in questo lago di incertezze e disperazione nel quale sguazziamo, alla fine della fiera, un po’ tutte e tutti
Posso confermare che, inizialmente, anche alla base dei miei collage c’era l’ardente bisogno di credere alla forza della visualizzazione.
Negli anni ho poi capito che i miei sono sì desideri semplici, ma anche evidentemente troppo per la mia condizione economica e fisica.
Ho quindi ridotto questa pratica a una semplice raccolta di immagini per far prendere aria ai pensieri, senza sperare troppo nella loro manifestazione nella mia vita.





Come si può notare, non c’è un nesso apparente tra le varie immagini, né un ordine o un rigore grafico prestabilito (anzi): questi collage, peraltro, spesso nascono parallelamente alla creazione di playlist - che a loro volta, mi servono per descrivere una precisa sensazione che sto provando in quel momento.
Ve l’avevo detto che non so stare dentro una sola modalità espressiva - a questo proposito: ma qualcuno le ascolta le canzoni che pubblico alla fine di ogni numero?
L’altro giorno, mentre scrollavo su Pinterest alla ricerca di nuovo materiale per la prossima vision board, m’è parso assolutamente evidente qual è il tema che ricorre più di tutti nelle mie ricerche, oltre che nei vecchi collage.
Il mare.
Più in generale, mi sembra che le mie vision board (realizzate tutte a una discreta distanza di tempo l’una dall’altra) evochino sempre le stesse immagini: l’estate, i ritmi lenti, i sogni che si avverano perché si ha un cuore nobile (ummaronna quanto sono naïf), le cose (e le case) semplici, i pasti frugali che normalmente si preparano quando fa caldo.
Ne ho dedotto una cosa: i miei desideri più puri sono rimasti praticamente invariati da quando ero bambina.
No, non si tratta solo del sogno di vivere una vita lontana dalla frenesia della città, in un posto sul mare che sia bello in qualunque stagione, mangiando mazzi di basilico e pomodori (sì, in quest’ordine), leggendo libri, beandomi dei rami di bougainvillea e di qualche gatto intorno a me.
Il fatto è che questa esatta condizione l’ho vissuta realmente, in certi momenti della mia vita. E in tutti i vari collage che ho realizzato, non sono evidentemente riuscita mai a staccarmi completamente dal desiderio di rievocarla, di riacchiapparla, di farla di nuovo mia (magari con qualche variazione sul tema), quella precisa porzione di vita.

Alle volte, quando mi chiedo perché le semplici (davvero, semplicissime) cose che desidero mi risultino sempre così irraggiungibili e lontane, mi rispondo che è perché sono stata una bambina molto fortunata, e che forse questa è l’epoca in cui sono un’adulta che lo è un po’ meno.
L’epoca in cui devo scalare il giorno verticalmente, per dirla alla Foster Wallace.1
Con la mia terapeuta, tra le altre cose, stiamo lavorando con una tecnica chiamata EMDR: grazie a questa, ho imparato a riconnettermi con quella parte di me, quella bambina con la frangetta e senza troppi pensieri sfidanti nel cervello. Sento che è un lavoro molto importante quello che stiamo facendo, perché quando torno a quella bambina, inevitabilmente torno anche a quello che abbiamo identificato come il mio posto sicuro (che non solo ricorda molto da vicino i miei collage, ma è un luogo veramente luminoso nel mio corpo, dove risiede la purezza del mio spirito, non contaminato dal quotidiano).2
O la mente, la mente ha montagne; rupi a picco erte, spaventose, dall’uomo inesplorate. Poco le stima chi non vi fu mai appeso. Mi sveglio e sento l’ispido vello del buio, non del giorno. E ho chiesto d’essere dove non arrivano le tempeste.3
Lungi da me volermi sostituire a un’esperta in materia, però un esercizio utile che mi sento di voler passare, nel numero più inutile4 di questa newsletter, è proprio questo: provare a sintonizzarsi con la propria parte bambina. Provare a farsi raccontare cos’è che desidera, davvero. Come fossimo in mezzo a una terra desolata, con una vecchia radio tra le mani: immaginiamo lo stupore di esserci agganciati alla frequenza di una stazione qualsiasi che, fatalità, sta trasmettendo proprio la nostra canzone preferita.
«Tutti i grandi sono stati bambini una volta (ma pochi di essi se ne ricordano)5» è una citazione inflazionata, però è vera: a quel tempo immaginifico dobbiamo dare valore. E spazio. Dobbiamo, come per le cose dolorose, imparare a starci: anche questo è un atto di coraggio.
Non c’è bisogno di tornare chissà quanto indietro con la memoria (non tutti siamo stati fortunati, da bambini): credo veramente che basti solo concentrarsi su un’immagine di felicità. Quella nostra, personale, segreta, che conosciamo solo noi. Quella che non dobbiamo spiegare né condividere con nessuno.
Sia pure una borsa su una vision board.
“Le mattine peggiori, coi pavimenti freddi e le finestre calde e la luce senza pietà - la certezza dell'anima che il giorno non dovrà essere traversato ma scalato verticalmente, e andare a dormire alla fine della giornata sarà come cadere da un punto molto in alto, a strapiombo.” David Foster Wallace, Infinite Jest, Einaudi Stile Libero, 2006. Pagina 67.
Lo so. Sembra che Buddha o un santone qualunque si sia impossessato di me, ma statemi a sentire.
Joan Didion, L’anno del pensiero magico, Il Saggiatore, Milano 2021. Pagina 35.
Nel senso che non aggiunge nessun dato di utilità alle vostre vite, credo. Non che le altre abbiano la pretesa di farlo, ma ogni volta che scrivo m’impegno perché, chi mi legge, possa percepirsi leggermente arricchito dopo
Antoine De Saint- Exupéry, Il Piccolo Principe, BUR Rizzoli, Milano 2016. Pagina della dedica.
Che potente la citazione di David Forster Wallace, non la conoscevo 💙
Anch'io mi trovo in una fase in cui sto frugando tra i desideri sepolti della me bambina, prima che certe ambizioni e certi bisogni indotti (da chi?) prendessero il sopravvento. Anch'io quando penso alla serenità immagino il mare e le bruschette con il pomodoro e l'origano, ma per qualche ragione sono finita lontana da tutto ciò. Forse l'allontanamento è parte necessaria del viaggio, indispensabile per poter crescere e poter ritornare, con più consapevolezza.
Tutt'altro che inutile ❤️🩹 leggendo queste righe mi sono emozionata, riconosciuta, divertita, come poi del resto accade spesso con ciò che scrivi. Ho avuto più o meno il tuo stesso rapporto con le vision boards, ormai non ne faccio molte ma non riesco proprio a farne a meno - ad esempio - quando inizia il nuovo anno, oppure quando ho l'ispirazione per una nuova folgorante idea, o per un progetto (anche se più spesso mi limito a raccogliere le immagini in delle bacheche private su pinterest). Comunque, l'esperienza di ritrovare i desideri genuini della me bambina l'ho vissuta anni fa, e sono felice per te che ti stia capitando. Forse non sarà semplice trasformarli nella realtà delle noi adulte, ma già sapere quali sono credo sia come avere una lucina molto luminosa da seguire e non perdere mai di vista.
E sì, le ascolto le canzoni che scegli e le trovo sempre molto azzeccate <3