Io, oltre lo schermo
Un altro modo per ritrovarci, nell'era delle grandi distrazioni e delle infinite solitudini
L’altro giorno ho concluso il terzo rewatch degli ultimi mesi.
Vociare indistinto dal pubblico, si ode in lontananza qualcuno che scandisce: ARE YOU FOR REAL?
Sì, regaz, sono quel tipo di persona, deal with it.
Certo, nel frattempo ho anche visto qualcosa di nuovo, tipo quelle serie di cui hanno parlato tutti (tutti quelli di cui mi fido, però).
Ma nonostante questo, ogni anno è sempre la stessa storia: tipicamente tra la fine dell’autunno e l’inizio dell’inverno - e onestamente non credo sia un caso: è il momento in cui si acuiscono i miei malesseri e preferirei ritirarmi in letargo - faccio ripartire Gilmore Girls, The Office (US) e poi a scelta una serie di cui non ricordo bene ogni dettaglio.
Questa volta è toccato a Mad Men: 7 stagioni da minimo 12 puntate, da circa 45 minuti l’una.

Qualcuno potrebbe dire: davvero preferisci perdere tutto questo tempo nel riguardare qualcosa che già conosci?
Ecco, il punto è proprio qui: per me non si tratta di una perdita di tempo. E apparentemente non lo è per molta, molta gente.
Cercando dati a sostegno della mia tesi, mi sono imbattuta in un TED Talk sul tema. Una delle prime cose che l’oratore Michael Smith comunica al pubblico è: our favorite things are our favorite things, because they’re our favorite things - il motivo per cui certe cose diventano le nostre preferite, è perché evidentemente con queste abbiamo stabilito una relazione che è andata intensificandosi col tempo. Si chiama exposure effect: se siamo esposti a una certa cosa con regolarità, questa diventerà familiare ai nostri occhi. E da che mondo è mondo, quando qualcosa ci è familiare diventa anche automaticamente importante, rilevante nelle nostre vite.
E in un’epoca in cui siamo costantemente sottoposti a stimoli che disintegrano la soglia della nostra attenzione, che spesso ci portano a disconnetterci dalla realtà e dagli attimi di noia (ne parlavo qui), paradossalmente riguardare/riascoltare qualcosa che già conosciamo è un modo sano di concedere vero comfort al nostro cervello. È un atto terapeutico, potremmo dire - non foss’altro perché smettiamo di cercare senza sosta qualcosa che c’intrattenga (e riempia quegli spazi di cui sopra), e riusciamo a concederci diversi minuti di intrattenimento senza “pretese”.
Byung-Chul Han, in Le non cose. Come abbiamo smesso di vivere il reale, a proposito delle scariche di dopamina date dai social, scrive:
Nulla, nel telefono portatile, ci costringe a un’inerme passività. […] Il costante digitare e strisciare delle dita sullo smartphone è un gesto quasi liturgico con effetti ponderosi sul nostro rapporto col mondo. Le informazioni che non m’interessano vengono scacciate alla svelta.
Tornando al TED Talk, l’oratore cita qualcosa che non conoscevo: il Mister Rogers Effect. Questa teoria prende il nome da Fred Rogers, conduttore televisivo del programma per bambini Mister Rogers’ Neighborhood, andato in onda fino al 2001 sulla rete americana NET.
Questo effetto si riferisce a quella sensazione di calma, sicurezza e accoglienza che proviamo quando qualcuno, nel tempo, ci dimostra attenzione e gentilezza in modo costante, attraverso azioni che pian piano creano una sorta di “routine” nella nostra vita.1 In questo programma, il conduttore cominciava ogni episodio sistemandosi gli abiti e le scarpe: i piccoli telespettatori sapevano che avrebbero visto esattamente questa scena ogni volta, senza sorprese. Finivano per voler bene al signor Rogers: lui non li avrebbe mai traditi, offesi, giudicati. Era lì, a disposizione, solo per farli sentire bene.
Se proviamo a riportare questo punto nella nostra vita di tutti i giorni e lo applichiamo quindi a serie TV, film, romanzi, dischi e chissà, magari anche a qualche videogioco, non sarà difficile comprendere quanto appena descritto.
Si tratta, alla fine, di meccanismi di auto-regolazione delle nostre emozioni. Instaurare relazioni durature, seppur di fantasia, con una certa storia e i suoi personaggi, ci fa sentire meno soli.
Per alcuni (me per prima) può significare anche voler ritrovare quelle parti della nostra identità che avevamo dimenticato. Lo dico sempre: certi prodotti (soprattutto certi album, film di animazione e serie TV) hanno contribuito alla costruzione della mia personalità. Non mi sorprende, quindi, che io senta il bisogno di rispolverarli di tanto in tanto.
Riguardare oggi Gilmore Girls, per esempio, per me significa anche scoprire quanto non sopporti Lorelai (mentre a sedici anni avrei fatto carte false per averla come madre). Significa scoprirmi molto vicina a Rory quando, verso la fine della serie, si sente completamente persa a livello identitario e professionale (e se lei si sente così, in qualche modo è come se mi sentissi più legittimata a sentirmi tale e quale. Ha senso? Ha senso). Fare questo rewatch, insomma, mi permette di riscoprirmi più adulta e consapevole - ma al contempo mi assicura sempre lo stesso senso di calore, familiarità e nostalgia (potremmo parlare di anemoia2, ma non è del tutto corretto come termine) di Stars Hollow.
Proprio come se fosse il posto in cui anch’io ho imparato a camminare.
La mia tesi di laurea magistrale si basava su un concetto non distante da questo: tendiamo a legarci indissolubilmente a un personaggio televisivo perché, in qualche modo, questo riesce a comportarsi come vorremmo fare noi nel nostro quotidiano. Lì mi occupavo esclusivamente di villain come Walter White o Tony Soprano: entrambi arrivano a compiere azioni spietate, ma alla fine le loro motivazioni, tutto sommato, finiscono per sembrarci lecite (un po’ come negli sparatutto, in cui dobbiamo uccidere per salvarci).
È ovvio che noi non ci comporteremmo mai in quel modo: ma il semplice fatto di vederli agire, seppure in maniera crudele, ci predispone positivamente nei loro confronti.
Un altro esempio meno crudo è il caso di una commedia come Horrible Bosses (tre amici hanno problemi sul lavoro a causa dei rispettivi capi e decidono di farli fuori). Tendiamo a tifare per loro. Sospendiamo il giudizio. Quasi quasi, se potessimo, pianificheremmo di fare lo stesso al nostro capo stronzo.
Vi rassereno: sembra che il fenomeno del rewatch in senso terapeutico si applichi per lo più a serie/film comedy. Poi c’è gente che, come me, riguarda certe robe che di comico non hanno nulla, solo perché innamorata del loro aspetto tecnico.
Cosa dice di noi tutto questo?
Che abbiamo bisogno di sentirci rappresentati, e soprattutto non giudicati. Abbiamo bisogno di relazioni (seppur fittizie) che ci facciano sentire compresi, che ci restituiscano quella esatta sensazione che stiamo cercando, quella che nella vita vera spesso non riusciamo a trovare.

Torniamo indietro.
Fare rewatch, per le motivazioni di cui sopra, può apparire come un fatto triste e legato in qualche modo al concetto di ansia.
Da un certo punto di vista è vero: secondo lo psicologo Barry Schwartz3, avere troppe possibilità non ci rende più felici, anzi - più alternative abbiamo, meno siamo soddisfatti di quella che scegliamo. È ciò che definisce il paradosso della scelta. Quando le opzioni diventano troppe, ci sentiamo talmente sopraffatti… da non voler scegliere affatto. Gli enormi cataloghi delle piattaforme di streaming non fanno che amplificare questo concetto: cercare qualcosa di interessante da vedere può diventare complicato, noioso4. Per questo alla fine preferiamo riguardare qualcosa che già conosciamo: ci scrolliamo di dosso ogni tipo di pressione.
Inoltre, il già citato aspetto terapeutico del rewatch è molto più importante di quello che immaginiamo. Quando scegliamo di riguardare qualcosa, abbiamo assoluto controllo delle emozioni che vogliamo provare: un po’ come quando mettiamo su quel disco che SAPPIAMO ci farà piangere, perché abbiamo bisogno di sfogarci (e anche perché preferiamo una canzone triste a un ceffone sui denti, mi pare ovvio).

Ancora: conoscendo già il prodotto di cui stiamo fruendo, possiamo decidere di skippare quello che non ci va di vedere/ascoltare, balzando al punto che c’interessa. In più, nel caso di un film o di una serie, non dovendo prestare un’attenzione elevatissima alla trama, possiamo concederci di spaziare, di apprezzare i dettagli in secondo piano che, alla prima visione, potremmo esserci persi.

La riflessione, allora, va sempre a parare allo stesso punto: cercare questo tipo di comfort a volte non solo può servire, ma può anche salvarci la vita.
Stimolare un certo tipo di sensazione, riappropriarsi di certe emozioni che credevamo sopite, è indispensabile per il nostro cervello.
Ricordarsi che possiamo ancora stare bene semplicemente grazie a un film, una serie o un libro, è straordinario. Anche se ne conosciamo il finale, ripetiamo certe battute a memoria e scoppiamo a ridere sempre sulla stessa scena.
Funziona.
Molto più di ventimila TikTok coi gattini: garantito.
Non è propriamente il termine che sto cercando, ma non saprei dirlo meglio.
Anemoia è un termine inventato coniato da John Koenig nel suo progetto The Dictionary of Obscure Sorrows. È quel sentimento malinconico che provi quando ti immergi in un’epoca lontana - magari guardando vecchie foto, ascoltando musica d’epoca o guardando film ambientati in altri periodi — e senti una connessione emotiva inspiegabile, come se una parte di te appartenesse a quel tempo, pur non avendolo mai vissuto davvero. È un po’ come avere nostalgia per qualcosa che non è tuo, ma che in qualche modo senti vicino.
Fonte: Psychology Today
Netflix, a modo suo, ci aveva provato ad arginare questo sentimento con il pulsante "Riproduci qualcosa": con questa funzione, l’algoritmo cominciava lo streaming di una serie o di un film simile ai contenuti che avevi già guardato. Non credo fosse granché funzionale: io non l’ho mai usato.
Che bello questo post Caterina :) sarà perché anche io sono affezionatissima alle serie tv, ma ho letto tutto con tantissimo interesse e curiosità. Gilmore Girls è sicuramente tra quelle che ho riguardato di più in assoluto e tra quelle che mi hanno formata - andavo alle medie ed attendevo settimanalmente gli episodi su Italia1 più di ogni altra cosa, perciò comprendo a pieno il tuo affetto per il gazebo di Stars Hollow 🥹 Ora avrò una spiegazione quasi scientifica da fornire quando farò ripartire l'episodio pilota per la miliardesima volta nella mia vita!