Tutti noi compiamo una sintesi tra un dato del mondo fenomenico (da φαίνομαι - che si manifesta ed è conoscibile tramite i sensi) e uno dato da noi: l’elaborazione nasce poi dal nostro buon senso, dalla nostra voce della coscienza. Ognuno di noi utilizza la ragione (che è la forma pura a priori, di cui ci serviamo sempre) per arrivare a una soluzione. La morale è qualcosa a cui ci sottoponiamo per nostra libera scelta. […] La legge invece è qualcosa a cui ci sottoponiamo esternamente, perché ci è imposta. Se siamo uomini retti non obbediremo a un secondo fine, non ci serviremo degli altri come mezzi: resteremo sempre alla ricerca del bene supremo, ma essendo comunque in grado di comprendere cos’è giusto e cos’è sbagliato.
Parto così, a bomba, con i miei appunti sulla Critica della Ragion Pratica di Kant, direttamente dal lontano 2008: mi è tornato in mente quando, l’altro giorno, mi sono imbattuta in una nuova (e giusta, per una volta) polemica online.
Non so se leggiate Il Post o ascoltiate i loro podcast e conosciate quindi già la questione: per farla breve, la mia testata preferita è finita al centro di una bufera social perché ha scelto di inserire, all’interno della propria offerta podcast, anche un prodotto scritto e interpretato da Chiara Valerio.
L’autrice, conosciuta per il suo attivismo in campo femminista alla stregua di Michela Murgia, ha pestato un vero merdone fatto un grosso scivolone durante il suo festival dedicato ai libri, Più Libri Più Liberi. Se ne parlò moltissimo online: tra gli invitati all’evento c’era anche Leonardo Caffo, giovane filosofo e scrittore, che all’epoca dei fatti si scoprì essere indagato per maltrattamenti aggravati e lesioni gravi ai danni dell'ex compagna.
Se la questione della sua “cattiva condotta” (chiamiamola così) uscì fuori a calendario già organizzato (l’edizione, peraltro, fu pure dedicata alla memoria di Giulia Cecchettin), il tempo per poter disdire la sua presenza c’era eccome. Cosa che non solo non avvenne, anzi (fu poi Caffo a ritirarsi, ma non è il fulcro della questione): dopo la social shitstorm sui profili di Valerio e PLPL, la stessa si espose in video dichiarando di non ritirare l’invito e invitando alla prudenza con le sentenze perché, hey - il nostro diritto penale giudica con la presunzione d’innocenza qualunque imputato.
OUCH.
Sto riguardando Bojack Horseman e ieri sono arrivata a questa puntata, che mi sembra cada proprio a fagiolino con questo discorso
Fast forward di qualche mese: Caffo viene condannato a quattro anni. Lasciamo perdere tutte le sue varie esternazioni da mendicante di pietà, deplorevoli e da classico abuser etero cis e bianco, perché mi tornano i conati al pensiero. La giustizia farà il suo.
Che si fa con chi resta, però? Nello specifico: cosa si fa con Chiara Valerio, che s’è tanto affannata a ricordarci come funziona la giustizia italiana?
Succede che nemmeno un anno dopo, qualcuno decide di mettere sotto la sabbia il fatto che questa persona abbia giustificato a gran voce un predatore in un festival culturale curato da lei, dedicato a una vittima di femminicidio, senza scusarsi minimamente (nemmeno a tempo debito). Succede che a farlo è uno dei pochi giornali italiani, se non l’unico, che ha sempre messo al primo posto l’informazione libera e spiegata bene, e che soprattutto ha sempre restituito un’enorme importanza al suo pubblico di lettori. Succede che le viene data carta bianca per un podcast che, oltre a essere un’accozzaglia di fatti culturali spiegati male, pare sia pure scopiazzato da un altro prodotto meno famoso.
Succedono tutte queste cose.
Non ci si può fare a meno di chiedere: perché?
Sì, siamo in una democrazia e la nuova avanzata dei fascismi non fa che ricordarci quanto sia importante la libertà d’informazione e di opinione. Non bisogna cancellare1 una persona solo perché ha idee diverse dalle nostre: ci mancherebbe (a meno che questa non sia, per dirne una, Vannacci2). Però credo anche che in certi luoghi di cultura, come le redazioni dei giornali, bisognerebbe schierarsi. Se non politicamente, quanto meno dalla parte giusta della storia. Quella che non ammette nella sua squadra di lavoro persone dalla moralità ambigua, solo perché sono loro amiche.
Pensiamoci: la corruzione dell’animo non compromette, inquina, in qualche modo, la bontà di un prodotto? Ci torneremo tra poco
C’è un motivo per cui non leggo Libero per informarmi ma solo per decretare quanto sia lontano dal mio modo di guardare il mondo.
Ed è il motivo per cui ho scelto Il Post come testata di riferimento e non solo: chi partecipa ai loro eventi, lo sa. Ci si sente parte di una comunità culturale allargata, nella quale nessuno si sente migliore di un altro e tutti puntano allo stesso obiettivo.
Per questo non riesco minimamente a comprendere innanzitutto, e ad accettare poi, perché il MIO giornale abbia deciso di rivendicare in questo modo sconcertante l’amicizia con una persona che, ripeto, non ha ad oggi ancora fatto alcun passo indietro in merito al merdone pestato (chiamiamolo col suo nome).
Questa recente vicenda mi ha fatta pensare non soltanto a Kant (e a quanto, prima o dopo, la prenderò quella seconda laurea) - ma anche a una questione che mi attanaglia da molto prima di questo spiacevole evento: come porsi di fronte a un’opera (un libro, un disco, un film, un quadro, una foto, un editoriale) che reputiamo meravigliosa, se questa è però stata generata da una persona che s’è scoperto essere deprecabile?
Quando qualcuno dice che dovremmo separare l’arte dall’artista, sta dicendo: togli la macchia, lascia immacolata l’opera. Ma non funziona così. Il bicchiere che cade per terra possiamo solo guardarlo: non sta a noi decidere se il vino finirà sul tappeto. […] La macchia - che si allarga e si insinua, scura come il vino, inevitabile - è la conseguenza della biografia (dell’autore, ndr.). Una persona commette un crimine ed è l’opera a esserne macchiata. A noi, il pubblico, non resta che farci i conti. 3
Certo, la polemica sopracitata ha tanti gradi di separazione dalla questione in sé (cioè: non è direttamente Valerio l’abuser), per cui si potrebbe anche pensare: riabilitiamo l’immagine di quella persona che, in fondo, ha fatto anche cose buone oltre all’ultima “stronzata”.
Però, davvero: dobbiamo, anche in un caso specifico come questo?
Come dice la mia terapeuta, il fatto che un gesto non sia troppo grave, non sminuisce la sua portata. Specie se fa eco a qualcosa di molto, molto più subdolo e osceno: la perpetrazione della violenza di genere anche nei luoghi pubblici di cultura, che dovrebbero esserne privi.
Perché se il colpevole è la persona che ci sta sul cazzo4, siamo tutti bravi e pronti a puntare il dito. Ma quando il predatore (o chi lo giustifica) è dal nostro lato della barricata?
Siamo immersi in un’epoca storica in cui ci barcameniamo tra il politicamente corretto e il fatto che, alla fine, a nessuno gliene sbatte veramente qualcosa di non dire o fare la cosa sbagliata - perché tanto, alla fine della fiera, Internet se ne dimenticherà. Un po’ come si diceva dei giornali: domani saranno carta per avvolgere il pesce.
Per tornare a Kant, per alcune cose sembrerebbe proprio ovvio da che parte far pendere l’ago della bilancia: ma non è sempre così scontato su Internet. E non solo perché molti non sono effettivamente in grado di scindere cos’è giusto e cos’è sbagliato a livello morale, ma anche perché stiamo assistendo a un crescente (e preoccupante) analfabetismo funzionale.
Come suggerisce Dederer, forse sarebbe opportuno distinguere un prima e un dopo il fattaccio nella vita degli artisti o degli intellettuali, specialmente per tutelare noi spettatori quando vogliamo continuare a godere di un loro prodotto, senza star troppo a pensare chi stiamo finanziando.
Il punto è che non è sempre possibile arginare la macchia della biografia: specialmente quando parliamo di reati importanti e non proprio del furto del temperino in cartoleria.
E allora: come facciamo a rendere giustizia ai sopravvissuti, se alla fine i loro abuser (o chi li protegge) vanno avanti indisturbati, per di più giustificati dalla loro privilegiata posizione nel mondo?
Siamo noi a dover semplicemente accettare che esistano pezzi di merda dalle grandi doti (artistiche, intellettuali, politiche)? Per la bontà della verità e della storia, la risposta è sì. Non è possibile (né giusto, di nuovo) cancellare certe persone e le loro opere. Ma, altrettanto, non è possibile né giusto snaturarci e snaturare la realtà per permettere a questi personaggi di continuare ad agire liberamente.
Proprio ieri mi sono imbattuta in un TikTok di Factanza che, in merito a una nuova canzone di Kanye West che inneggia a Hitler e al nazismo, citava il concetto di Finestra di Overton.
Overton studia il percorso e le tappe attraverso le quali, ogni idea, sia pur assurda e balzana, può trovare una sua “finestra” di opportunità. Qualunque idea, se abilmente e progressivamente incanalata nel circuito dei media e dell’opinione pubblica, può entrare a far parte del mainstream, cioè del pensiero diffuso e dominante. Comportamenti ieri inaccettabili, oggi possono essere considerati normali, domani saranno incoraggiati e dopodomani diventeranno regola, il tutto senza apparenti forzature.5
Qual è il limite oltre il quale non siamo più disposti a dire: mi da fastidio, ma…?
Il sottotitolo di questa newsletter (“è l'arte legge per se stessa?”) l’ha tirato fuori mia sorella, classicista, che ringrazio - perché racchiude perfettamente l’ultimo interrogativo che vorrei porvi.
È ancora al 100% tollerabile, nel 2025, parlare di arte per l’arte?
Utilizzerò cancellare traducendolo malamente dall’inglese, riferendomi al concetto di cancel culture
Mi dispiace ma non mi dispiace. Ci sono persone, cose, opinioni, regimi che proprio non avranno mai un posto al mio tavolo. Poi ci posso anche parlare: ma ecco, non li inviterei a cena
Mostri. Distinguere o non distinguere le vite dalle opere: il tormento dei fan, di Claire Dederer, Altrecose (Iperborea), Milano, 2024, pagine 65-71
Questo numero sarà molto colorito.
Intanto voglio farti davvero i complimenti per questo pezzo: c'era tanta carne al fuoco, ma hai tenuto saldamente le fila ed il discorso riga dritto senza perdersi e tiene incollati perché, oltre ad essere esposti bene, sono argomenti molto interessanti.
Siccome invece io non ho il dono della sintesi ma la tendenza ai voli pindarici SI, evito per il tuo bene di provare a commentare ogni punto e dico la mia solo sulla questione "separare l'opera dall'artista". Ammetto di esser stata sin qui molto fortunata, e nessun artista cui io sia molto legata ha fatto cose abominevoli (sono forse l'unica della nostra generazione che non si è mai filata Harry Potter, ad esempio, quindi posso schifare serenamente senza rimpianti persino la Rowling). Quelli che ho amato, tutt'al più si sono suicidati (ha-ha).
Un po' di anni fa avrei risposto senza esitazione che è giusto separarle, che si può apprezzare un libro, una canzone, un film anche quando l'essere umano che c'è dietro non merita più il nostro rispetto e la nostra stima. Ora non ne sono più così sicura, e penso intanto che per sapere veramente cosa ne penso dovrei trovarmi nella posizione di "fan" cui crolla davvero un idolo, e poi mi rendo conto che quando scoppia uno scandalo (uno di quelli veri e ben fondati però, non le shitshorm per il nulla che si afflosciano su se stesse) se nutrivo un qualche interesse o curiosità verso l'opera di quel personaggio pian piano si spegne. L'esempio della Rowling torna utile anche in questo: mi era detto che ci avrei provato a leggere Harry Potter, prima o poi, pur non amando il fantasy, visto che ormai era probabilmente entrato nella storia della letteratura. Ecco, questa necessità non la sento più.
Per opere/artisti del passato, invece, il problema non me lo pongo. E mi fermo qui che ti ho già scritto un papiro, I'm sorry 🥲🧡
Auspicabile che ne siano ancora, intelligenze critiche, kantiane o no.
Altro che intelligenze artificiali.
Articolo ricchissimo di contenuti, grazie